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Letteratura espressa - Notizie dalla frontiera
Letteratura espressa - Notizie dalla frontiera-image

Il mito di Dafne passa per la malinconia dell’appenino, morde il calore domestico della crema pasticciera e abbraccia i nostri tempi disillusi. La natura fa il suo corso, in questo breve ma consapevole scritto di Stefano Testa, e combatte una guerra silenziosa con il suo eccelso traditore: l’uomo.

 

Notizie dalla frontiera

C'è la città, completamente antropomorfizzata, dove i brandelli della natura vengono mostrati come cimeli di una guerra ormai vinta da lungo tempo.

C'è la natura incontaminata, che vive la sua vita appartata sui crinali e sulle coste ripide dei monti, dove l'uomo fatica ad addentrarsi.

Poi, c'è la Frontiera, la terra dove natura e uomo continuano a combattersi incessantemente.

È qui che i due antagonisti si fronteggiano, ribattendo colpo su colpo: il podere non più coltivato che viene assalito dalla vitalba e dall'edera; il boschetto di querce abbattuto per far posto a brutte case e villette omologate; il casolare dal tetto ormai sfondato, abbandonato dagli eredi scesi in città, divenuto ora tana di volpi e cinghiali; il muretto a secco sostituito da grigi cubetti di cemento; il giardino, un tempo strappato alla macchia, che, anno dopo anno, si ricopre di ortiche e gramigna, aspettando di rifarsi boscaglia.

Qui, nel disordine conflittuale della terra di frontiera, viviamo il peggio dell'uomo e della natura e, inevitabilmente, ci facciamo noi stessi, peggio.

Per chi parteggiare quindi, avendo la ventura di abitare questi luoghi, dove natura e uomo giornalmente si contendono ogni lembo di terra, senza alcuna pietà e raziocinio?

Guardo il prato curato con fatica distrutto dal grufolare cieco dei cinghiali, i boccioli della rosa antica mangiati dai daini golosi, la staccionata di castagno assalita dalla vitalba e dai prugni selvatici.

Le nostre forze, anno dopo anno, verranno meno, mentre i figli oramai hanno portato la loro vita lontano di qui e camminano per strade affollate.

Ugualmente, guardo le sconcezze che qui gli uomini vanno di continuo erigendo, invadendo con la loro prepotente cecità lo splendore di campi e di boschi, violando il loro incanto.

Qui, nelle terre della Frontiera, in questa squallida campagna di guerra, presto sarà bandita ogni superstite bellezza e, per l'anima di chi ancora le abita svanirà ogni possibilità di poter ancora riconoscere e creare il bello.

Soffocheremo, tra rovi e cemento.

 

***

 

Ma quanto ho dormito?

Il sole, prepotente, penetra dagli scuri socchiusi.

Mi sento stanchissimo e mi dolgono tutti i muscoli.

Ieri ho usato il decespugliatore tutto il giorno, ho tagliato gli arbusti che premevano contro la rete di recinzione del giardino e i polloni di frassino e maggiociondolo che ultimamente mi erano nati nel prato.

Raduno le forze e provo ad alzarmi.

Seduto sul bordo del letto mi stiro, ma qualcosa mi ferisce il volto. Considero con sorpresa le mie braccia: sono diventate rami nodosi di puntuta robinia.

Ho male a un orecchio, sento qualcosa che preme per uscire.

Corro allo specchio: un tralcio di edera mi scende, come un orecchino, fin sulle spalle.

Non riesco più a muovere un passo: le dita dei miei piedi si sono curiosamente allungate e, contorte, si stanno infilando nel pavimento, sollevando le mattonelle di graniglia.

Mi guardo le foglie: stanno diventando già gialle.

Ed è appena luglio.

 

***

 

È una vita stentata, quella di noialtri dimoranti di questa tribolata terra di frontiera: assistere inermi alla belligeranza ottusa di cui vi dicevo prima, finisce per guastare irrimediabilmente la nostra indole, rendendola mesta e irresoluta.

La natura ci è matrigna, e di quest’uomo, oramai, non siamo che figliastri codardi e rancorosi.

Molti di noi, a volte, nelle sere sconsolate dell’autunno appenninico, con l’ausilio vile di alcol da poco prezzo, vaneggiano di assai improbabili epifanie, di rinnovate, armoniche ere di incantata convivenza, per poi perdersi barcollanti nel vicolo notturno dal lastricato sconnesso, infestato dalle ortiche.

Purtroppo il mio stomaco non regge né vino, né liquori: ma non per questo rinuncio alle visioni e al sogno.

Ogni mattina, entro dal fornaio e compro un bombolone.

Chiuso nel sacchetto me lo stringo al petto, uscendo sulla via. Camminando, alzo lo sguardo al cielo e la saliva prende a scendermi copiosa, giù in gola. Infilo la mano nella carta, lo sfioro con affettuoso garbo e, ritraendola, mi lecco il dito zuccheroso.

Alla fine, mi apparto.

Lo guardo un lungo attimo con carnale tenerezza poi, con piccoli morsi ne stacco i bordi vuoti e li risputo nel sacchetto, così anche il mio cane farà festa.

È allora, nel preciso momento in cui il suo cuore di brillante, vellutata, gialla crema mi colma la bocca e prende a scender giù nel gargarozzo, che io, a volte, riesco ancora a vedere un futuro per questa nostra disgraziata, disarmonica terra di frontiera.

 

***

 

Mi sta davanti immobile e mi squadra con occhi di sfida.

È enorme e soffia.

Faccio per aprire la portiera, ma lui accenna a venire verso la macchina. La richiudo con forza, sperando che il rumore lo spaventi. Macché: resta fermo lì e mi guarda.

Ok. Accendo la radio e mi metto ad ascoltare il Tristano e Isolde in diretta da Bayreuth.

Lui dimostra di gradire e si avvicina un po'.

Apro il finestrino perché lui possa ascoltar meglio.

Così ci facciamo fratelli in Wagner, io e il cinghiale.

Davanti al cancello di casa.

 

***

Questo incessante spostamento del fronte, le reciproche, continue incursioni dei due contendenti nel campo nemico e le conseguenti, repentine ritirate, sfibrano i nervi e le coscienze di noi appenninici, che assistiamo sgomenti a questa guerra senza fine.

Le virtù, inevitabilmente, finiscono per decadere, e nelle nostre case il male e il bene oramai dormono vicini.

Le anime, non di rado, praticano la borsa nera e perfino il delitto è un'eventualità alla quale, in caso di bisogno, si ricorre senza più eccessive remore.

Questo ora siamo: orfani astiosi di una guerra che non avrà vincitori: la natura, senza più armonia né forma, penetrerà con le sue ottuse braccia spinose nelle casematte che assiduamente andiamo innalzando senza governo e regola e noi, eternamente, con grandi forbici le recideremo.

Non ci sarà più né anima né bellezza, qui sulla Frontiera: solo contrabbandieri che, nella notte opaca, lasceranno le loro ombre lente sui tronchi silenziosi dei faggi.

 

Stefano Testa

 

Stefano Testa è nato a Roma nel 1949. Da sempre vive nei pressi di Porretta Terme. Sue recenti pubblicazioni con Prospero Editore sono Qui, a farci quel vento, La GuardianaQui, a farci quel vento, La Grazia. Ha fatto molti lavori: il redattore nello storico programma Rai “Gli eroi di cartone”, il bibliotecario, l'addetto stampa in una stazione termale, il musicista. Un suo LP del 1977, Una vita, una balena bianca e altre cose, concept album sulla vita di Cesare Pavese, viene considerato un piccolo gioiello del rock progressive italiano. Nel 2012 ha inciso Il silenzio del mondo e, nel 2016, ha pubblicato per Mellow Record la suite Andrea il Traditore.