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Letteratura espressa - Roy
Letteratura espressa - Roy-image

Questo brano svela, in parte, e rivela, in parte, le sensazioni grigie e contraddittorie di un’identità che vive nell’ombra. E proprio come un’ombra si muove questo racconto. Non sappiamo nulla di Roy, eccetto il fatto che le sue mani si sono macchiate di sangue, che è in attesa di una presenza indefinita e una manciata di ricordi... eppure ci sembra di conoscerlo quasi intimamente. Che ci sia un po’ di Roy in ognuno di noi?

 

Roy

 

A volte non c’è fretta.

Si può rallentare, accostare la macchina al ciglio di una strada, spegnere il motore e restare immobile in silenzio. Da solo sotto la pioggia battente, e al buio. Ascoltando solo il rumore degli pneumatici di altre vetture che scorrono sull’asfalto bagnato, che si mischiava con quello delle gocce che s’infrangevano sul parabrezza, sul tetto e sul mondo accanto.

Io e la notte, pensò Roy. Accanto a lui c’era un sedile di pelle nera, vuoto. Come era vuota la vettura, vuota la casa dove viveva, vuota la vita che giorno dopo giorno, missione dopo missione, passava dietro le sue spalle. Un vuoto che era assenza di qualcosa. Qualcosa che lui ben conosceva.

Le sue mani, ricoperte da guanti anch’essi di pelle nera, si staccarono dal volante. Con un profondo respiro lasciò che i suoi occhi abbracciassero ogni dettaglio di quello scorcio semideserto di una città che si ritirava nelle case, consegnando le strade ai ritardatari, ai nottambuli o ai solitari come lui.

Un tempo per Roy le cose erano state diverse. Un tempo che per anni era stato costretto a dimenticare, e che ora invece ricordava in ogni dettaglio.

C’era un ristorante ancora aperto, dall’altro lato della strada rispetto a quello dove si trovava. Roy non guardò l’insegna, ma i tavoli. Vuoti, anch’essi. Ma i ricordi invece erano tanti, e riempivano tutti gli spazi. Erano fatti per questo, era il loro compito: colmare tutti i vuoti della sua esistenza.

A uno di quei tavoli, in un ristorante come quello, un giorno di primavera di qualche anno prima sedeva una famiglia. Un bambino di poco più di tre anni, dai capelli neri e dagli occhi vivaci, cerchiati d’una rara tonalità dorata. Una bambina di appena un anno e mezzo, che si trovava in braccio alla mamma, con un vestitino bianco e rosa su cui erano intessuti alcuni piccoli animali sorridenti. Gli occhi della bambina, il colore dei suoi capelli, il suo volto ricordavano alla perfezione quello della mamma che era con lei. La donna più bella che Roy avesse mai visto, l’unica che avesse mai amato in tutta la sua vita. E proprio Roy era il quarto membro di quella famiglia.

Li ricordò così, mentre ridevano felici a un tavolo come quello. Nel buio della sua macchina, Roy sorrise a loro e a se stesso in quel tempo lontano.

Poi, lentamente, si sfilò i guanti. Li depose piano sul sedile anteriore vuoto, e guardò le sue mani. Così lisce, eppure così vuote. Come rocce che esistevano dalla notte dei tempi, ma su cui il tempo non aveva lasciato traccia del suo passaggio. Erano state le mani di un padre amorevole e di un marito fedele, e ora erano le mani di un assassino che non conosceva né pietà, né fallimento. Aveva avuto tutto, e ora non gli restavano altro che i ricordi per non dimenticare chi era stato.

Uno di quei ricordi riaffiorò alla sua mente, e incendiò il suo cuore pieno di un amore mai morto. Mosse appena le dita della mano destra, come per afferrare qualcosa o qualcuno che un tempo era stato parte di lui. Immaginò che l’aria che stringeva tra le dita fosse quello che cercava, che gli mancava. I suoi occhi scuri, simili a due eclissi circondate da una luce struggente, furono attraversati dal bagliore improvviso di una sensazione conosciuta, e per questo stupenda. La tenne dentro di sé finché poté, come teneva tra le dita qualcosa che solo lui poteva vedere. Poi, quando sentì che era giunto il momento di andare, accarezzò l’aria per un’ultima volta prima di abbandonare la mano sul sedile, lasciandola cadere come se fosse senza vita. Il silenzio divenne più profondo, mentre la pioggia lentamente smise di cadere.

Nel suo cuore Roy pensò a un nome. Poi a un altro, e infine a un altro ancora.

Li mise accanto, come dovevano stare, e poi li depose nel cuore. Riprese i suoi guanti, guardò la strada, e sempre lentamente, perché il tempo non gli mancava, accese la macchina e innestò la prima marcia.

La strada lo riaccolse, e la pioggia, dopo un po’, riprese a scendere.

 

Ygor Varieschi

 

Ygor Varieschi è nato e vive a Milano. Laureato in lettere, è scrittore per vocazione e per passione. Nel 2014 ha pubblicato il suo primo romanzo, Henry Wickham con la casa editrice LuoghInteriori, ma la sua fatica letteraria più recente e ambiziosa è 2090 (Prospero Editore). Ombre nelle tenebre, il primo dei tre volumi che compongono il romanzo 2090, è uscito nel 2017 e Roy, protagonista del racconto che avete appena letto, è proprio uno dei personaggi principali. Date una sbirciata qui: http://www.prosperoeditore.com/libri/2090_Ygor_Varieschi