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Meno per meno farà più ma spesso nella vita di tutti i giorni, che è la stessa che richiama riflessioni esistenziali, che è talvolta estremamente lontana dall’aritmetica, se moltiplichi meno a meno ottieni ciò che sembra a un approccio più banale: piccole grandi catastrofi e vicoli ciechi.
L’uomo senza
Rallento per parcheggiare. L'auto borbotta e sputa un nugolo nero.
Passi incerti. Mi sento osservato perché sono solo, e mi immagino come una specie di serpente in abiti umani. Barcollo fino a una panchina, dove siedo in punta. Il fiume tace. La crescente consapevolezza di essere invisibile sopisce l'ansia.
Comincio a scandagliare il verde. Sul parco, sulla lieve collina: ci sono coppie dappertutto. Passeggiano, ruzzano, parlano. I primi due sui quali mi soffermo sono giovanissimi. Lei è delicata e sorridente. Da ragazzo non ne ho mai avuta una così. Lui ha l'aria da stronzetto, ma evidentemente sono gli stronzetti i tipi che piacciono alle donne, già da adolescenti. Però, ecco lui cos'ha: è vivace, brioso e sicuro di sé, mentre io sono sempre stato goffo, umbratile e disfattista.
Mi volto: due trentenni camminano vicini; lui le stringe i fianchi. Mi pare di percepirle, quelle fattezze gentili e calde sotto le sue mani. Lei è sensuale, uno schianto. L'abbigliamento è giusto: né eccentrico, né anonimo; si intravede, con eleganza, un corpo ben fatto. Continuo a fissarli. Sembrano addirittura felici, parlando assorti, come se l'uno fosse una religione per l'altro. Staranno progettando vacanze di qua o di là; magari tra un paio d'ore ceneranno con tanti amici e scherzeranno e si divertiranno. Che sciocco, sto proiettando su di loro ciò che non sono mai stato capace di fare: ridere, essere piacevole, essere finto. Il teatro, gli amici, la gita in barca, le chiacchiere facete o, peggio ancora, quelle che tengono in piedi il momento.
Le rondini annunciano la sera mentre aspetto la morte come uno che aspetta il tram. Per non subire il parossismo dei baci altrui al sole calante, e il cinguettio che mi rammenta la giovinezza, mi fiondo al chiosco. Il legno risuona di passi; le voci si intersecano annebbiando la mia claudicante precarietà. Scruto il bar, le persone: sono piombato in una commedia della fretta – i baristi scalpicciano madidi di sudore –, del vivere bene e degli abiti per la domenica.
Un omone mi urta. «Scusi.» Rispondo con un gesto e mi aggrappo difettosamente al bancone.
«Cosa le preparo?» domanda una ragazza dolcissima, con la camicia bianca.
«Io?» dico distratto. «Sì, perdonami,» continuo «un bicchiere d'acqua. E uno di vino rosso». La mia voce è interdetta: devo ripetere l'ordinazione alla barista, che sorride per mestiere.
Ingollo l'acqua, sorseggio il vino. Mi siedo a fumare, in un angolo. Al tavolo di fianco si accomoda l'ennesima coppia. Stavolta sono due quarantenni, miei coetanei. Tanto per cambiare, lei è favolosa. Un vestito leggero, un cardigan che le rassoda le braccia e mostra lo sterno e il petto aggraziato; esile, ma il bacino un po' largo; i capelli mossi. Lui scherza con modi affettati, e la donna risponde fremente. Il desiderio di essere al posto dell'uomo si disgrega ascoltando quel patetico vaniloquio: non hanno risolto niente, stando lì a ingannare se stessi. Perché questo meschino bisogno di fingere che ci sia l'eternità?
Torno a sedere sulla panchina. Il sole piantato nell'acqua dove la luna si specchia. A sinistra, una coppia di settantenni che sorridono, senza entusiasmo né speranza. Non parlano; si sfiorano per caso, camminando. Sembrano stare davvero assieme, in pace, smentire il mio cinismo.
Rabbuia, finché i signori non li vedo più.
Paolo Ceccarini
Nasce a Viterbo nel 1983. Ha pubblicato diverse poesie e due romanzi (Dentro Ambra, Alter Ego, 2013 e Sinola, Prospero Editore, 2017). Alcuni suoi racconti sono usciti su riviste come Spaghetti Writers e Kultural. Lavora con Fabula Agenzia Letteraria e dirige il blog Quasicultura.
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